Ricorso alla Corte di Cassazione
Caio ricorre in Cassazione contro il provvedimento del giudice di merito (Corte d’appello di Firenze) che, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, assegna alla ex moglie Tizia, una somma mensile di 450 euro,00= a titolo di assegno divorzile.
Deduce il ricorrente che l’assegno divorzile non è dovuto in quanto Tizia è stata autrice di una condotta delittuosa e volontaria (dolosa) idonea a farle subire un licenziamento disciplinare, come conseguenza immediata e diretta del reato compiuto in danno del datore di lavoro.
Il licenziamento disciplinare (per giusta causa o giustificato motivo soggettivo), cioè la risoluzione del rapporto di lavoro per colpevole inadempimento del contratto da parte della ex moglie deve essere definita come ipotesi ostativa all'insorgenza del diritto a percepire l'assegno divorzile, dovendo tale situazione essere equiparata all'abbandono volontario dal lavoro, situazione in cui questa Corte (vi è il richiamo a Cass. n. 26594/2019) ha ritenuto l'insussistenza del diritto all'assegno di divorzio.
Il ricorrente assume, inoltre, che la situazione nuova e sopravvenuta idonea a modificare l'originario assetto reddituale e patrimoniale degli ex coniugi non deve dipendere da una condotta colposa (e, maggior ragione, come nel caso di specie, dolosa) dell'ex coniuge richiedente: ove lo stesso si sia macchiato di una condotta antigiuridica, e addirittura penale, perderà il diritto ad usufruire della solidarietà dell'ex coniuge.
In conclusione, la richiedente l’assegno di mantenimento non solo deve dimostrare la sussistenza di una situazione nuova, ma anche che questa si è verificata non per sua colpa, indipendentemente dalla sua volontà.
Ordinanza n. 37577 del 22.12.2022 della Corte di Cassazione
Il ricorso è infondato.
"Va osservato che questa Corte, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, nell'affermare che l'assegno di divorzio ha (in pari misura) anche natura compensativa e perequativa, ne ha comunque ribadito la funzione assistenziale, richiedendosi, a tal fine, l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi e l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Ove tali condizioni non sussistessero al momento della pronuncia della sentenza di divorzio, nel caso in cui, successivamente, uno degli ex coniugi - sul rilievo di essere rimasto disoccupato ed incapace di provvedere al proprio sostentamento - deduca, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, essersi verificata una situazione nuova, idonea a modificare l'originario assetto reddituale e patrimoniale e a giustificare il riconoscimento dell'assegno divorzile, il giudice è chiamato ad accertarne la loro eventuale sopravvenienza.
Nel caso di specie, la Corte d'Appello di Firenze ha accertato che, rispetto al momento in cui è stata pronunciata la sentenza di divorzio, era intervenuta una modifica della situazione di fatto che giustificava il riconoscimento dell'assegno divorzile: Tizia a seguito del licenziamento disciplinare conseguente alla sua condotta delittuosa, era divenuta disoccupata, né la stessa era in grado di reperire un lavoro sia in ragione dell'età (anni 57), sia delle condizioni di salute (invalida civile al 60% con certificazione di portatore di handicap ex L. 104/92), sussistendo, pertanto, una situazione caratterizzata dalla inadeguatezza dei mezzi e dalla impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.
Il ricorrente non ha minimamente contestato l'accertamento della (nuova) situazione di fatto compiuto dalla Corte d'Appello, ovvero che Tizia a seguito della condanna penale, era ancora disoccupata ed aveva subito un decadimento psichico che le aveva ridotto la capacità di svolgere attività lavorative analoga a quella perduta, ma sostiene che il giudice di secondo grado sarebbe incorso in un errore di diritto, avendo riconosciuto il diritto della ex moglie all'assegno divorzile nonostante che la situazione di difficoltà e bisogno in cui la stessa si trovava fosse riconducibile ad una condotta volontaria (addirittura dolosa).
Il ricorrente evidenzia, in proposito, come questa Corte di legittimità abbia già statuito (e tal fine richiama Cass. n. 26594/2019) che l'abbandono volontario dal lavoro integri una ipotesi ostativa all'insorgenza del diritto a percepire l'assegno divorzile, e ritiene che a quella situazione sia pienamente equiparabile la fattispecie in esame, caratterizzata, addirittura, dal compimento da parte del coniuge debole di una condotta delittuosa.
Questo Collegio non condivide l'impostazione del ricorrente, che è il frutto di una erronea interpretazione delle pronunce di questa Corte e, in particolare, di Cass. n. 26594/2019.
E' pur vero che nella sentenza sopra citata questa Corte ha condiviso l'impostazione della Corte d'Appello di non riconoscere al coniuge richiedente l'assegno divorzile perché l'impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, in quel caso, non dipendeva da incapacità lavorativa, ma dalla "libera scelta" del coniuge di abbandonare l'occupazione lavorativa (si trattava di una ex moglie che, rassegnate le proprie dimissioni dal proprio lavoro in Piemonte, aveva chiesto all'ex marito l'assegno divorzile, dopo che, trasferitasi in Calabria presso i propri genitori, sosteneva di non aver trovato un'altra occupazione).
Tuttavia, il ricorrente ha frainteso le affermazioni di questa Corte di legittimità: è stata condivisa la decisione della Corte d'Appello di non riconoscere l'assegno di divorzio perché la ex moglie, che aveva abbondato volontariamente il lavoro, aveva ancora capacita lavorativa e non si trovava quindi in una situazione di impossibilità di procurarsi i mezzi "per ragioni oggettive". Non a caso, l'ordinanza n. 26954/2019, nel riportare la motivazione della Corte d'Appello, aveva evidenziato che il giudice di merito aveva accertato che la ex moglie, "era ancora in giovane età e aveva dimostrato piena capacità di lavorativa". Ne consegue che il mancato riconoscimento del diritto all'assegno non è stato considerato da questa Corte come una sorta di "sanzione" per il coniuge debole che si è posto volontariamente in una situazione di difficoltà economica, ma sempre legata all'insussistenza dell'oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati (che, dunque, non è configurabile per il coniuge che ha piena capacità lavorativa). Nel caso di specie, invece, è proprio una "sanzione" quella che invoca il ricorrente ai danni della ex moglie: pur non contestandosi che quest'ultima si trovi nell'impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragioni oggettive, il solo fatto che la situazione di difficoltà economica in cui la stessa attualmente versa sia dipesa da una sua condotta volontaria (addirittura dolosa) comporterebbe, a suo dire, la perdita del diritto di usufruire della solidarietà dell'ex coniuge (principio cui è ispirato il riconoscimento dell'assegno divorzile). Tale impostazione è estranea alla disciplina dettata sia dall'art. 5 che dall'art. 9 L n. 898/1970. In particolare, già in passato, questa Corte (vedi Cass. n. 17041/2007; vedi anche Cass. n. 5378/2006), nell'interpretare l'art. 9 della legge n. 898 del 1970, ha affermato - in una fattispecie in cui il richiedente aveva dedotto, in sede di revisione delle condizioni di divorzio, quale giustificato motivo di concessione di un assegno non previsto in sentenza, la sopravvenuta diminuzione dei redditi a seguito del suo collocamento in pensione - che la volontarietà di tale evenienza non può essere ritenuta dal giudice di merito ragione escludere l'esistenza dei giustificati motivi idonei alla revisione della medesima".